ARJAN SHEHAJ

Patos, Albania, 1989
Artista

23° Premio Cairo

La matrice segnica, l’essenzialità e la riduzione gestuale delineano la poetica di Arjan Shehaj (Patos, Albania, 1989), che utilizza materiali e supporti diversi per realizzare dipinti e opere su carta dagli sfondi neutri. Traendo ispirazione dalla calligrafia orientale e sulla scia delle tendenze informali italiane del secondo ’900, l’artista crea opere sintetiche dove un insieme di tratti dalle varie cromie si sovrappongono e si espandono sulla superficie, evocando forme naturali minimali, talvolta filamentose, costellazioni e raggruppamenti celesti, spazi indeterminati e atmosfere pulviscolari. Anche nel dipinto in concorso, realizzato con colori a base d’acqua nei toni delicati dell’azzurro, del blu e del violetto, cui si aggiungono altre gradazioni cromatiche, visibili a una distanza ravvicinata secondo un processo di percezione lenta, l’artista crea un universo intricato e vibrante di incroci e sovrapposizioni. Dal centro si estendono linee fluide, arcuate, concave e convesse che generano un moto centrifugo, dove il tratto diviene più leggero, rarefatto, aereo, come rivela il titolo dell’opera Formë e Pacaktuar – “forma indefinita”, tradotto dall’albanese. «La chiave di lettura del lavoro», dichiara Shehaj, «è soggetta all’interpretazione dell’osservatore, che traendo forme e ombre ne fa una sua esperienza soggettiva. D’altronde esperire i nostri giorni non è un cammino di certezza, ma un avvicinamento, passo dopo passo, dal caos mentale dell’oggi a un utopico domani»

Arianna Baldoni

Formë e Pacaktuar

acrilico su tela e pigmento blu, cm 140 x 200, 2024.